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Azzorre: A spasso con Quechua sull’Isola di Sao Miguel

Quando Silvio mi ha confessato di aver voglia di fare un viaggio “zaino in spalla”, ho immaginato il suo backpack abbandonato in un angoletto della sua soffitta a prender polvere. È stato quasi un atto di compassione nei confronti di quella borsa della Quechua il nostro: organizzare un tour di qualche luogo nel mondo dove lo zaino potesse diventare protagonista. Ma come scegliere una destinazione adeguata?

Anzitutto, mi sono detto, capiamo il periodo. Abbiamo tutti e tre pochi giorni a disposizione: io e Silvio a causa del lavoro, lo zaino invece, per la capienza (è solo un 50 litri).

Che ne dite di partire tra Natale e Capodanno? 5 giorni, tra il 26 e il 30 dicembre.

Sia Silvio che Quechua mi confermano che potrebbe essere un buon compromesso, ma con pochi giorni dove ci potremmo dirigere?

Propongo inizialmente un mini tour di Bristol e Liverpool, alla scoperta di due delle città più rilevanti nella storia della musica britannica.

Silvio è entusiasta, ma Quechua… bè glielo leggo nelle cinghie, lui non ha voglia di città, ma di natura, natura selvaggia.

E dove la trovi a breve distanza da Roma? Nel piccolo arcipelago di nove isole nel bel mezzo dell’Atlantico: le Azzorre.

Se vi spaventa la collocazione (“nel bel mezzo dell’Atlantico”), vi invito a ricredervi da subito: Sao Miguel, la più grande, meta unica della nostra piccola escursione natalizia, dista due ore di volo da Lisbona, che a sua volta necessita di un paio d’ore e mezza di aereo da Roma. In meno di un pomeriggio potete essere a Ponta Delgada, città principale dell’arcipelago.

Una volta approdati su questa roccia abbandonata per secoli tra le alte onde dell’oceano, abbiamo affittato un’auto. Le strade sono in ottimo stato, spostarsi da un punto all’altro dell’isola è questione di decine di minuti.

Il protagonista indiscusso di questo panorama è la vegetazione. In parte endemica, in parte importata dai portoghesi, l’isola di Sao Miguel in qualche metro di strada ti trasla dal set di Jurassic Park ad una simil campagna toscana. Da conifere, palme e foreste rigogliose, si passa a prati brucati da vacche da pascolo. Queste ultime sono tra i pochi esemplari di fauna che popolano l’isola. Importate dai portoghesi dopo il fallimento della coltivazione delle arance, come ci ha spiegato Arianna, una ragazza italiana che vive qui, il bife è diventato uno dei piatti tipici insieme al pescato. Tra gli animali endemici figurano solo il Priolo, un uccello le cui colonie di nidificazione principale si sono spostate a nord est dell’isola, e la nottola delle Azzorre, un pipistrello diurno.


Ilha do Villa Franca ed il relativo paese intravisti dalla chiesa di Nossa Senhora da Paz

La vegetazione, costante compagna di viaggio, ci ha scortato già nel primo tratto di strada fino a Villa Franca Do Campo, ex capitale dell’isola, spodestata dopo un terremoto che la ha polverizzata qualche secolo fa. Da qui abbiamo prenotato un’escursione per fare Whale Watching, una delle attività più ricorrenti per i turisti, ma il periodo non è stato dei migliori. L’inverno non lo è quasi mai.

(È curioso come nella mia vita abbia tentato per due volte il Whale Watching e per due volte non abbia visto neanche una trota, mentre attraversando il canale di Beagle con il solo obiettivo di visitare un’isoletta sperduta a sud della Terra del Fuoco, totalmente disinteressato a qualsiasi avvistamento, mi sia ritrovato scortato da splendidi esemplari dalla coda nera.)

Fortunatamente abbiamo ottenuto un rimborso.

A Villa Franca vale assolutamente la pena anche una visita alla chiesa di Nossa Senhora, posta sul picco poco fuori città, tra le piantagioni di banane. La chiesetta, caratteristica per la lunga scalinata, dà sul panorama cittadino e sulla roccia vulcanica di Ilha do Villa Franca, riserva naturale inaccessibile.

Ripartiti per dirigerci ancora più ad est, abbiamo raggiunto Furnas, dove avremmo fatto base per due notti, dormendo in una Quinta.

Furnas è un paesello minuscolo e tranquillo, nulla a che vedere con la “metropoli” di Ponta Delgada. Se volete starvene appartati per un paio di giorni è la scelta migliore, ma rischiate di annoiarvi anche piuttosto in fretta e di rimanere senza grosse alternative sul dove mangiare (in inverno molte attività ristorative sono chiuse)[1].

Foro nel terreno destinato alla preparazione del Cocido.

L’attrazione principale di questa zona è il Lago di Furnas, circondato da alcune Caldeiras (fumarole di origine vulcanica) dove gli abitanti delle Azzorre preparano il Cocido. Si tratta di un bollito di carne e verdure, con la singolare caratteristica di essere lasciato a cuocere per ore in fori ricavati nel terreno nei pressi delle Caldeiras.

Sul lago svetta anche l’oscura Cappella abbandonata di Nostra Signora delle Vittorie, il cui profilo gotico fa pendant con il clima di qui, costantemente caratterizzato da cielo coperto e piovoso[2].

Avendo ancora a disposizione diverse ore di luce dopo aver vagabondato un po’ attorno al lago, io, Silvio e Quechua decidiamo di avventurarci ancora più ad est, fino a raggiungere Faial da Terra, piccolo villaggio sul mare da cui parte un trekking verso l’interno dell’isola. Col senno di poi però si è rivelato più interessante il tragitto e le scogliere ammirate dalla EN1-1A, che ci ha condotto sin là.

La sera, dopo aver sgranocchiato qualcosa, abbiamo fatto il check in presso la nostra Quinta, accolti da Luigi, il proprietario. Per un attimo mi viene il dubbio che abbia origini italiane dato il nome, ma ci tiene subito a precisare che in realtà il nome è Luis. Il gentile signore portoghese ha deciso di studiare l’italiano perché a pochi metri dalla sua fattoria vive una signora di Verona. Non se la cava malissimo anche se confonde alcune parole con lo spagnolo. Comprensibile e comune errore.

Mi domanda come ci sia venuto in mente di venire alle Azzorre.

Nostra Signora delle Vittorie, la cappella abbandonata nei pressi del lago di Furnas.

– Le avete viste in televisione? – mi domanda.

No, niente televisione Luis, gli dico.

– Chiamami Luigi! – insiste lui.

Comunque è troppo complesso spiegargli che siamo qui per portare a spasso il povero Quechua.

Il giorno successivo è forse il più suggestivo dal punto di vista di paesaggi e mete. Raggiungiamo la costa est dell’isola visitando la cittadina di Nordoeste.  

Se non avete alcuna intenzione di togliervi il piumino di dosso perché come noi avete scelto di visitare le Azzorre in inverno, allora può fare al vostro caso il parco naturale di Ribeira dos Caldeiroes, poco distante da Nordoeste.

Il complesso del parco costruito attorno a cascate ed un vecchio mulino, è un piacevole punto di ristoro per gli occhi e l’anima immerso ancora una volta in un’incantevole vegetazione. Se invece volete azzardare qualcosa in più, prendete in considerazione Caldeira Velha (descritta poco più avanti).

Tornando alla Quinta per trascorrere la terza notte, abbiamo la fortuna di poter essere testimoni di un altro fenomeno frequente qui alle Azzorre: una tempesta di vento e pioggia.

Se l’isola è già di per sé deserta in questo periodo dell’anno, figuriamoci quante persone possono aver preso in considerazione di mettersi per strada all’ora di cena con un clima così poco clemente.


Cascata nei pressi di Ribeira dos Caldeiroes.

Con Silvio tentiamo di trovare un ristorante aperto a Ribeira Quente, ad una decina di minuti da Furnas, sulla costa sud. Il villaggio sul mare però si rivela tetro e deserto. Ogni attività commerciale è chiusa e mi ricorda le atmosfere spettrali dei villaggi islandesi in inverno. Così finiamo per raggiungere la costa opposta, a nord, per mangiare pesce in un ristorante totalmente abbandonato a Sao Bras, accompagnati solo dal nostro giovane ristoratore.

La mattina successiva il tempo è tornato nuvoloso, ma per fortuna non piove più. Ci fermiamo nell’unico bar aperto di Furnas per fare colazione ed il nostro barista, a digiuno di qualsiasi altra lingua che non sia il dialetto portoghese stretto delle Azzorre, ci convince ad assaggiare il suo cappuccino disgustoso e dei panini dolci (già masticati a Ponta Delgada) farciti con formaggio e prosciutto cotto. Nel suo tentativo di farmi comprendere cosa ci avrebbe preparato, avevo inteso che l’imbottitura del toast sarebbe stata dolce (una marmellata o qualcosa di simile), ma il mio portoghese non si è dimostrato all’altezza della situazione.

Tutto sommato però la colazione è digeribile e l’atmosfera rallegrata dal barista chiacchierone ed amichevole: appassionato di Guerre Stellari, proietta tutto il giorno a ripetizione su una tv appesa al muro gli episodi della serie in portoghese.

Il tragitto che ci guida oggi fino a Ribeira Grande, non solo è cosparso di splendidi miradouros (punti di osservazione panoramici sull’Oceano Atlantico), ma ci fa incappare anche in Porto Formoso, una delle rarissime località in Europa dove i cinesi hanno insegnato agli Europei a coltivare il tè. All’interno del piccolo impianto stupisce constatare che qui si usano ancora i macchinari di un tempo per preparare gli infusi.


Uno degli innumerevoli punti panoramici dell’isola (nei pressi di Agua De Alto)

Visitiamo la fabbrica con un ragazzo irlandese ed una ragazza di Amsterdam. Sono entrambi surfisti e la cosa non ci stupisce dal momento che lui indossa un paio di bermuda mentre io e Silvio siamo incappucciati nei nostri piumini. Ci spiegano che le Azzorre per fare surf in questo periodo dell’anno sono un paradiso: a Ribeira Grande, villaggio suggestivo e seconda città più popolosa dell’isola, ci sono spiagge, pochi turisti ed un mare ondoso che in questa stagione raggiunge i 18, 20 gradi di temperatura.

Dopo aver acquistato un paio di bustine di tè, proseguiamo fino a Caldeira Velha, un parco immerso in una rigogliosa vegetazione, dotato di piscine d’acqua termale e piccole cascate. È forse una delle location più caratteristiche tra quelle che abbiamo visitato, ma suggerirei a chiunque di portar con sé un costume e rendere l’esperienza ancora più gradevole mettendosi ammollo per un’oretta. Ci sono spogliatoi e strutture adeguate a trascorrere un piacevole pomeriggio qui e le temperature non sono così proibitive. Solo io e Silvio, col senno di poi, siamo stati troppo timorosi.

La nostra escursione sull’isola di Sao Miguel si conclude nel pomeriggio, con una visita all’estremo ovest, nella zona dei crateri più grandi e suggestivi: Sete Cidades.


Sete Cidades.

Qui laghi, miradouros, percorsi di trekking ed un albergo abbandonato sul picco di una montagna, potrebbero tenervi occupati per un’intera giornata. Purtroppo per noi però il clima si fa proibitivo, una densa nebbia cala sulle strade e non riusciamo a visitare il miradouro Boca do Inferno, uno dei più suggestivi di tutte le isole Azzorre.

Trascorriamo la nostra ultima notte e la nostra ultima mattina a Ponta Delgada, tra il lungo mare di Portas do Mar ed il forte di Sao Bras, prima di reimbarcarci per Lisbona.

Sao Miguel per quanto piccola, offre attrazioni ed escursioni per almeno una settimana, oltre che collegamenti costanti con le altre isole dell’arcipelago. Tutto a prezzi più che accessibili (il costo totale della vacanza è stato di circa 500 euro a testa, tutto compreso).

Torniamo a casa soddisfatti, soprattutto Quechua, che aveva proprio voglia di natura, vegetazione, punti panoramici affascinanti, scogliere sull’oceano e laghi vulcanici.

Per ogni informazione più precisa su prezzi, località in cui abbiamo soggiornato, attrattive che abbiamo visitato o mancato di visitare, non esitate a scrivermi in privato su Facebook.


[1] Se preferite zone più “vive”, vale la pena scegliere Nordoeste o Ribeira Grande.

[2] In qualsiasi periodo dell’anno, le Azzorre sono caratterizzate da un clima non troppo freddo, né troppo caldo, ma di frequente piovoso.

Una volta compiuti otto anni, capitarono due cose che mi avrebbero cambiato la vita: la prima fu che mia madre mi mise su un aereo per il Canada e la seconda che mio padre mi piazzò un mappamondo in stanza. Ancora oggi quando capito in casa dei miei genitori, avvicino il mio sguardo appassionato alla superficie di quel vecchio soprammobile impolverato e ne percorro le strade, i fiumi e i confini degli stati; passando dal Nord Europa allo sconosciuto Medioriente, dalle sperdute isolette Sandwich nei pressi dell’Antartide fino al Corno D’Africa che si è scollato a causa del tempo dal globo di plastica e resiste appeso per il confine labile tra Somalia ed Etiopia. Ogni volta premo su quel lembo adesivo colorato nella speranza che si rincolli, ma lui mi dà soddisfazione solo per qualche secondo, poi si stacca e ricomincia a pendere nel vuoto cosmico.

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