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EBRIDI E METROPOLI SCOZZESI (VOL. 2)

Leggi qui la prima parte

Rientrando sulla terra ferma avremmo speso la notte in un piccolo garage adibito a stanza per ospiti da una vecchia signora cortese e sorridente. Al di là del dover tirare su una serranda metallica per entrare, la camera era accogliente, con le pareti rivestite in legno, un piccolo angolo cottura ai piedi dei tre letti ed un bagnetto minuscolo ricavato in fondo a destra. Un market distava qualche chilometro e vista l’assenza di ristoranti aperti a quell’ora nei dintorni, facemmo provviste per la serata, cucinammo nel nostro piccolo garage e ci mettemmo a letto presto.

Al di là della visita al castello più celebre di Scozia il giorno successivo, l’Eilean Donan di Highlander, ci aspettava una buffa sventura che ancora oggi ricordo come la più divertente di tutti i miei viaggi.

Stavamo attraversando l’isola di Skye, una delle ebridi più grandi ed anche una delle meno popolose.

L’intento era raggiungere la formazione rocciosa dell’Old Man of Storr, un punto panoramico arroccato su un monte da cui ammirare buona parte del nord est dell’isola. Il monolito di circa 55 metri di altezza è uno dei punti d’interesse più celebri delle isole Ebridi ed è comparso anche in diverse pellicole cinematografiche, come il recente prequel di Alien di Ridley Scott, Prometheus.

Raggiungemmo la nostra meta senza grosse difficoltà e dopo qualche foto ci rimettemmo subito in viaggio verso la terraferma.

Il programma infatti prevedeva che macinassimo molti chilometri e dormissimo nei pressi del castello di Dunrobin per prepararci, il giorno successivo, a raggiungere le nebbiose Highlands e Thurso, estremo nord della Scozia da cui poter salpare per le isole Orcadi.

Matteo, poco abituato a guidare sulla destra ovviamente, finiva spesso fuori dall’asfalto e io non mi stancavo di riprenderlo: così facendo prima o poi avremmo bucato.

Proprio nel mezzo dell’isola di Skye, notai che la macchina arrancava un po’ e che pendeva tutta dalla mia parte. Mentre i miei due compagni di viaggio chiacchieravano del più e del meno dunque, mi affacciai dal finestrino cercando di intravedere lo stato della nostra ruota posteriore sinistra.

Era a terra.

Ci fermammo sul ciglio di una strada panoramica, sotto un sole caldo. Era qualcosa che poteva capitare, lo sapevamo tutti, così senza perder troppo tempo e senza allarmarci, aprimmo il portabagagli pronti a sostituire la gomma con quella di scorta.

La sorpresa amara fu che l’auto a nolo non aveva la ruota di sostituzione, ma uno spray che si utilizza per coprire i fori di quelle già montate.

La nostra non era una semplice foratura, ma un vero e proprio squarcio che lo spray non fu in grado di riparare. Consiglio di viaggio dunque: quando affittate un auto, è preferibile richiederla con la ruota di scorta…

La compagnia di auto a noleggio ci informò, con un certo sgomento da parte nostra, che non avremmo ricevuto assistenza: sull’isola di Skye infatti non era previsto alcun tipo di intervento tecnico. Ce la saremmo dovuta cavare da soli e solo una volta in fase di riconsegna avremmo potuto ottenere un rimborso.

Alla fine della fiera ci ritrovavamo nel mezzo del nulla con la necessità di trovare un gommista aperto di primo maggio.

Il caso e la fortuna vollero che a poca distanza a piedi da dove si era fermata la nostra auto, un signore si stava prendendo cura del proprio giardino, in una villetta solitaria.

Mi affacciai al suo cancello spiegandogli la situazione, ma senza voler apparire invadente.

Duncan, o come ancora oggi ci piace ricordarlo a me, Cecilia e Matteo, lo zio Duncan, si mostrò non solo comprensivo ed amichevole, ma anche molto collaborativo.

Entrai in casa sua accompagnandolo fino al suo studiolo un po’ in imbarazzo. Mi chiese di sedermi accanto a lui e si attaccò al telefono cercando in tutti modi di risolvere il problema della puncture sulla nostra gomma.

Mi faceva sorridere il modo in cui pronunciava ad ogni chiamata il termine puncture.

Dopo diversi tentativi a vuoto, finalmente zio Duncan sembrò assumere un atteggiamento più positivo al telefono con un gommista di un piccolo paese poco distante da noi.

Una volta riagganciato fu felice di informarmi che la ruota di sostituzione sarebbe arrivata da Inverness il giorno successivo, ma a me sembrava una pessima notizia lì per lì, perché speravo di risolvere il problema molto più in fretta: avevamo da macinare centinaia di chilometri e non avevamo alcun posto dove dormire quella sera.

Duncan mi rasserenò: prima di tutto mi fece lasciare l’auto nel garage della sua villetta, parcheggiata accanto ad una vecchia Triumph blu d’epoca. Poi ci portò con la sua stessa auto a casa di una signora che gestiva una piccola locanda dove avremmo speso la notte e ci informò che il giorno successivo, quando sarebbe arrivato il gommista, ci sarebbe venuto a prendere lui stesso per poter poi concederci di ripartire con l’auto da casa sua.

Non sapevo quanto fidarmi di quel vecchio signore, ma non avevo grandi alternative perciò non potei far altro che accettare con i miei due amici. Questo piccolo incidente ci costò un intero giorno di viaggio e l’impossibilità dunque di poter visitare le isole Orcadi che avevamo previsto nel nostro piano due giorni più tardi. I traghetti che uniscono le isolette a nord con Thurso infatti hanno orari piuttosto serrati e costringono a pianificare per bene la gita se davvero si desidera sbarcarvi per una visita.

Forse Duncan percepì il mio stato di disagio, motivo per cui, si preoccupò di organizzarci una piccola gita nel villaggio più vicino di Broadford (non più di dieci case) dove poter cenare in un minuscolo ristorante di pesce da massimo dieci coperti.

Ricordo quanto ridemmo io, Matteo e Cecilia quando il tassista lasciandoci all’incrocio, ci informò di essere arrivati nella “metropoli”. Lui però non rise. Non abbiamo mai capito se per lui Broadford fosse davvero considerabile alla stregua di una grande città o se stesse facendo dell’umorismo.

Il giorno successivo tutto andò secondo quanto previsto. Mentre il gommista sostituiva il pezzo nel giardino di Duncan, lui ci offrì un tè nella sua cucina, raccontandoci il suo passato da marinaio nella Royal Navy.

Ispirò conforto e un senso di protezione quel vecchio signore scozzese che con la moglie viveva lassù, nel nulla dell’isola di Skye.

Per questo lo ribattezzammo lo zio Duncan, perché come un consanguineo prese a cuore la nostra sventura facendola anche un po’ sua, trattandoci come un padre tratta i figli, senza eccedenze, ma con l’indispensabile.

Che ci abbia fatto la cresta con i soldi della sostituzione della gomma?

I più maliziosi possono ritenere che non sia improbabile, ma in fin dei conti io la penso diversamente.

Credo piuttosto che un uomo che vive nella quasi scomoda ed opprimente pace di quel luogo remoto, abbia potuto dare sfogo a quel senso di condividere qualcosa con qualcun altro che fa parte di tutti noi.

Il destino ha voluto che la nostra auto si inceppasse proprio vicino casa di un annoiato lord sulla sessantina. Mi piace pensare che non fosse una coincidenza, che fosse fatto apposta non solo perché noi trovassimo qualcuno che ci potesse tirar fuori dai guai, ma anche perché il vecchio Duncan potesse avere qualcuno con cui esser solidale, qualcuno con cui spartire una piccola disavventura che gli riempisse la giornata in modo diverso dal routinario prendersi cura delle sue decine di piante, qualcuno a cui offrire un tè e raccontare del suo passato su una nave al largo del Pacifico.

Una volta compiuti otto anni, capitarono due cose che mi avrebbero cambiato la vita: la prima fu che mia madre mi mise su un aereo per il Canada e la seconda che mio padre mi piazzò un mappamondo in stanza. Ancora oggi quando capito in casa dei miei genitori, avvicino il mio sguardo appassionato alla superficie di quel vecchio soprammobile impolverato e ne percorro le strade, i fiumi e i confini degli stati; passando dal Nord Europa allo sconosciuto Medioriente, dalle sperdute isolette Sandwich nei pressi dell’Antartide fino al Corno D’Africa che si è scollato a causa del tempo dal globo di plastica e resiste appeso per il confine labile tra Somalia ed Etiopia. Ogni volta premo su quel lembo adesivo colorato nella speranza che si rincolli, ma lui mi dà soddisfazione solo per qualche secondo, poi si stacca e ricomincia a pendere nel vuoto cosmico.

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