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Ebridi e Metropoli Scozzesi (Vol. 1)

Non so se sia per un latente senso di competizione con gli inglesi (di cui tra l’altro non ho mai discusso con uno scozzese), non so se sia stata solo una mia impressione (ed è probabile infatti che qualcuno sostenga tutto il contrario), ma ogni scozzese con cui ho avuto a che fare io mi è sempre sembrato incredibilmente disponibile, amichevole e soprattutto sorridente nei confronti di noi stranieri. Non dico che si facciano in quattro per dimostrarti la loro voglia di darti una mano, ma l’accoglienza di cui ho goduto qui è qualcosa che non ho mai ritrovato in nessun altro luogo del mondo. Non me ne vogliano nemmeno gli amici e conoscenti del Sud Italia, dove si sa, l’accoglienza è di casa, ma la differenza che ho riscontrato nel modo di fare scozzese è stata soprattutto nella, bizzarro a dirsi, sobrietà.

Quando raccontai al mio amico Mally, il nordirlandese conosciuto ad Ushuaia in Argentina, che avevo visitato la Scozia, mi domandò un po’ strafottente se fossi stato in grado di capire gli scozzesi quando parlano. Gli risposi che l’unica difficoltà che avevo avuto era quando dicevano “Tre”, perché nella loro pronuncia mi sembrava che si perdessero la R e quindi Three, diventava Thee. Non ho avuto il coraggio di confessare al buon Mally che, al contrario, la sua pronuncia inglese, per me, è molto più incomprensibile di quella scozzese.

Decisi di viaggiare verso il nord della Gran Bretagna con i miei due amici Matteo e Cecilia a metà del 2013 ed il percorso del nostro viaggio si basò su una decina di tappe che avevo pianificato seguendo la disposizione dei celebri Castelli sul territorio.

In altre parole, invece di basarmi, nella selezione dei punti dove fermarmi per la notte, su città o paesi, mi basai su dove si collocavano Urquhart, Dunrobin, lo spettacolare Dunnottar, lo spettrale Glamis ed il celebre Eilean Donan.

Una delle mete più complicate da raggiungere fu l’isola di Staffa, piccola roccia di basalto disabitata nel mezzo delle isole Ebridi interne. Per approdarvi è necessario prendere un traghetto a Oban, città celebre per la torre simile ad un anfiteatro che la domina da una piccola collina e per la produzione dell’omonimo scotch. Si deve sperare in condizioni metereologiche clementi che consentano alle navi di salpare, si deve arrivare su una delle Ebridi più grandi, l’isola di Mull, attraversarla tutta e infine pagare qualche pescatore che ti trascini con la sua barchetta fino a Staffa.

In Scozia ci capitò spesso di arrivare in ritardo alle tappe che ci eravamo prefissati e la fabbrica di scotch di Oban fu uno dei luoghi che non riuscimmo a visitare a causa dei calcoli fatti male sugli orari. Fortunatamente uno degli inservienti all’ingresso ci avrebbe consentito di sorseggiarne un po’ con lui prima di chiudere.

Ospitalità scozzese e scotch.

Anche la visita alle rovine del castello di Urquhart fu un mezzo fallimento: l’edificio diroccato che domina le acque del lago di Loch Ness, avrebbe chiuso l’orario di visita alle 17 e noi, arrivati a pochi minuti dalla chiusura, dopo aver implorato la signora della biglietteria di consentirci l’accesso, saremmo sgattaiolati dentro per goderci la vista sul lago del mostro per almeno dieci minuti.

Un gruppo scapestrato come il nostro non poteva sperare che andasse tutto liscio per arrivare a Staffa, eppure l’unico intoppo in quei due giorni per raggiungere l’isolotto, furono il maltempo ed il mare grosso ad Oban che ci costrinsero a rimanere sulla terraferma per una sera in più, obbligandoci a salpare la mattina successiva molto presto.

La sveglia suonò all’alba ed io, Matteo e Cecilia, senza esitare troppo, scattammo in piedi e preparammo quel poco che avevamo da rimettere in valigia. Lasciammo l’ostello talmente presto che alla reception non incrociammo nessuno, ma una volta fuori l’ingresso constatammo con piacere che il tempo era splendido, tirava poco vento ed il mare era calmo.

Caricammo tutto sull’Audi e ci affrettammo a raggiungere il molo dove se ne stava attraccato il traghetto per Mull.

Scesi dalla macchina ed, entrato nell’ufficio del porto, ricevetti una buona notizia dalla ragazza alla biglietteria: il meteo sarebbe stato sereno per il resto della giornata. Potevamo salpare.

Così imbarcammo l’auto, la nave tirò su il portellone posteriore fra il rumore metallico delle catene e partimmo.

Da un lato fu una fortuna aver perso la traversata del giorno precedente, perché attraversare lo stretto del Loch Linnhe all’alba fu suggestivo.

Percorremmo tutta l’isola di Mull con la nostra auto con guida a destra sotto un sole brillante, tra castelli e vallate giungendo ad un piccolo approdo da cui finalmente prendere una barchetta per Staffa. Decine di pescatori offrivano a prezzi accessibili uno strappo sin là.

La selvaggia isoletta ci si  mostrò, dopo una mezzoretta di navigazione, come una specie di opera artificiale, con le sue colonne di basalto quasi disegnate che la sostenevano fuori dalla superficie del mare. Calpestammo il prato che la ricopriva e tutto intorno a noi, sparse ad est ed ovest, ci si mostrarono le piccole e grandi isole Ebridi interne. Fu una specie di conquista arrivare sin lì: sembrava essere andato tutto liscio e quello splendido panorama visto dall’alto, dominato dalla luce del miglior sole, lo vivemmo come un premio meritato.

Ricordo di essere rientrato da quella piccola gita steso sulle assi della poppa della barchetta; osservavo il cielo azzurro con una calma ed una serenità che ero poco abituato ad assaporare. Avevo come la sensazione di non aver nulla di cui preoccuparmi. Il lavoro era lontano migliaia di chilometri, i cattivi pensieri erano sulla terraferma. Accostai quella sensazione alla definizione spicciola di Felicità e ancora oggi quando un po’ disorientato dal quotidiano penso a cosa voglia dire essere felice, non riesco a rispondermi a parole, con una definizione, ma richiamo a me il dondolare di quella traversata in barca al rientro da Staffa. Ma una nuova piccola disavventura stava per capitarci lungo il cammino tra le Ebridi Scozzesi…

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Una volta compiuti otto anni, capitarono due cose che mi avrebbero cambiato la vita: la prima fu che mia madre mi mise su un aereo per il Canada e la seconda che mio padre mi piazzò un mappamondo in stanza. Ancora oggi quando capito in casa dei miei genitori, avvicino il mio sguardo appassionato alla superficie di quel vecchio soprammobile impolverato e ne percorro le strade, i fiumi e i confini degli stati; passando dal Nord Europa allo sconosciuto Medioriente, dalle sperdute isolette Sandwich nei pressi dell’Antartide fino al Corno D’Africa che si è scollato a causa del tempo dal globo di plastica e resiste appeso per il confine labile tra Somalia ed Etiopia. Ogni volta premo su quel lembo adesivo colorato nella speranza che si rincolli, ma lui mi dà soddisfazione solo per qualche secondo, poi si stacca e ricomincia a pendere nel vuoto cosmico.

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